Il potere a somma diversa da zero e un nuovo empowerment in sanità

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Nel settore sanitario, il personale a contatto con i pazienti dovrebbe godere di un’ampia autonomia, soprattutto in casi di emergenza, dove decisioni rapide e basate sulla conoscenza diretta della situazione possono fare la differenza tra vita e morte. Questa necessità sottolinea l’importanza di rivedere e ripensare i tradizionali modelli organizzativi e di leadership, anche in altri ambiti dove la centralizzazione del potere decisionale può ostacolare l’efficacia e l’efficienza delle risposte sia in momenti critici che nella routine.

Da tempo, anche in sanità, c’è un crescente entusiasmo verso modelli organizzativi che enfatizzano l’empowerment del personale. Programmi dedicati che spaziano dall’empowerment femminile a iniziative che permeano i percorsi di formazione e le trasformazioni organizzative. L’empowerment, diciamolo, ha un richiamo quasi esotico e piace come la maggior parte delle pratiche manageriali d’oltreoceano. Suscita interesse e curiosità, sebbene la sua piena comprensione e soprattutto l’applicazione possano talvolta rimanere ambigue o buone per tutte le stagioni.

Al centro di questa tendenza vi è l’intenzione di superare l’obsoleto modello di comando e controllo, a favore di un approccio che valorizza la previsione, di nuovo il controllo e, soprattutto, una profonda fiducia nelle competenze decisionali del personale sul campo. In teoria, questo approccio dovrebbe tradursi in maggiore autonomia e responsabilità per i collaboratori, che sono chiamati a prendere decisioni cruciali basandosi sulla propria esperienza diretta e su una comprensione approfondita delle molteplici sfide quotidiane.

Tuttavia, l’entusiasmo per l’adozione di questi modelli “innovativi” non è privo di rischi. Senza una guida chiara e un impegno autentico alla loro realizzazione, le iniziative di empowerment possono risultare in una pratica manageriale indebolita o, nel peggiore dei casi, generare disaffezione e distacco tra i dipendenti. Questo scenario negativo può portare a fenomeni di “quiet quitting”, dove i collaboratori si disimpegnano silenziosamente, o addirittura trasforma chi si sente ai margini in detrattori dell’organizzazione.

La sfida, quindi, è implementare l’empowerment in modo che non sia solo un concetto astratto o un termine di moda – usato dalle “grandi famiglie” – ma una realtà tangibile che valorizzi veramente le persone e le loro capacità, contribuendo a creare un ambiente lavorativo veramente coinvolgente e decisamente più produttivo.

Il passaggio a un modello più decentralizzato non è privo di sfide. Richiede un cambiamento culturale profondo, dove il top e il middle management devono essere disposti a condividere il potere e a rinunciare a forme di controllo tradizionali. Nelle forme più moderne si arriva ad una vera e propria alienazione del potere: si parla di aziende “bossless”.

Non si intraprende questa strada perché è di moda o perché le consulting ci dicono di farlo. Le organizzazioni che hanno adottato questo approccio scoprono presto che può portare a un significativo aumento dell’engagement dei collaboratori e a una migliore performance complessiva.

Un elemento chiave in questa transizione è la creazione di una cultura aziendale forte e guidata da valori condivisi. Piuttosto che fare affidamento su un ampio insieme di regole e policy, si incoraggia il personale a prendere decisioni guidate da principi etici e professionali condivisi. Questo non solo promuove l’autonomia ma garantisce anche che le decisioni prese individualmente siano allineate con gli obiettivi e i valori dell’organizzazione nel suo insieme.

In un numero crescente di organizzazioni, si sta approfondendo l’idea di ridefinire completamente la struttura del potere all’interno dell’ambiente lavorativo, adottando modelli organizzativi pionieristici dove il potere è distribuito in maniera omogenea fra tutti i collaboratori. Anche se fosse solo in attività o progetti “sprint” e in innovazioni “agili”. Questa visione innovativa rompe con il tradizionale concetto di potere decisionale come una “risorsa limitata”. Questo implica necessariamente che l’autorità concessa a una persona debba essere sottratta a un’altra.

Il concetto di potere come risorsa limitata, se ci pensiamo bene, nasce proprio dalle università dove ci siamo formati. Quelle che Nassim Nicholas Taleb definisce “sovietico-harvardiane”, dove un professore si accaparra maggior potere evitando di condividere conoscenza e privilegi. Così di generazione in generazione, si perpetua una cultura del controllo e della conservazione piuttosto che della condivisione e dell’empowerment.

Al contrario, si dovrebbe mirare a instaurare una cultura organizzativa in cui ogni individuo possiede e condivide il potere decisionale, contribuendo attivamente alle scelte e alle direzioni da prendere.  In queste organizzazioni, l’empowerment non è più un regalo concesso dall’alto, ma un principio fondamentale integrato nella struttura stessa dell’ente.

Ciò significa che ogni membro del team non solo ha la possibilità, ma è anche incoraggiato (ed ha coraggio) a partecipare alle decisioni che influenzano il suo lavoro e l’organizzazione nel suo complesso. Questo approccio collettivo al potere decisionale permette di sfruttare al meglio le diverse prospettive e le competenze presenti all’interno del gruppo. Col vantaggio, tra l’altro, di stimolare l’innovazione e migliorare la qualità delle decisioni.

Creare un ambiente in cui il potere è condiviso equamente richiede una trasformazione profonda della cultura organizzativa, che deve abbracciare pienamente i valori dell’uguaglianza, della trasparenza e della collaborazione. Iniziative DEI – Diversità, Equità e Inclusione – dunque, come se non ci fosse un domani!

Un cambiamento di questo tipo in sanità paga, è evidente! non solo perché aumenta il senso di appartenenza e la motivazione tra i collaboratori, ma anche perché porta a una maggiore agilità organizzativa e permette all’ente di adattarsi più rapidamente ai cambiamenti e alle sfide del mercato. Di questo c’è bisogno oggi, non di Policy e organigrammi!

Chiaramente, nemmeno a dirlo, un modello del genere potrebbe portare a miglioramenti significativi sia alla qualità delle cure sanitarie che al benessere e alla soddisfazione dei lavoratori. Anche se la strada per attuare questi cambiamenti può essere complessa, il potenziale per trasformare positivamente il settore sanitario è immenso, rendendo queste sfide non solo necessarie ma anche estremamente gratificanti da affrontare. Ora o mai più, dunque!

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