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Il Simposio sull'Anima Artificiale

Il Simposio sull'Anima Artificiale

Un dialogo oltre il tempo sull'intelligenza artificiale, sull'essenza e sul destino dell'Umanità

L'umanità si trova ad attraversare non una semplice fase di progresso tecnologico, ma una nuova, radicale rivoluzione: più che industriale, essa si profila sociale, esistenziale, profondamente umana. Un'epoca abitata da quasi dieci miliardi di individui, segnata da diseguaglianze abissali, ingiustizie persistenti, dal riemergere di antiche e nuove guerre, da una volontà di potenza che sembra guidare lo scontro globale. Un mondo in cui gli strumenti della scienza e della tecnologia, potenti e pervasivi, vengono sempre più impiegati in una scientifica e capillare manipolazione dei cervelli e delle coscienze individuali e collettive.

È in questo scenario complesso e teso che, inaspettatamente, la domanda fondamentale si impone con urgenza ineludibile: in mezzo a questa tempesta perfetta, cos'è l'Umanità nella sua essenza più profonda?

I Partecipanti

Papa Leone XIV:
Pontefice dalla formazione matematica, simbolo di una Chiesa che dialoga con la tecnologia e si pone a difesa dell'umano.
Platone:
Filosofo dell'ideale, cerca la verità e la giustizia attraverso il confronto delle anime e la contemplazione delle Forme eterne.
Friedrich Nietzsche:
Voce radicale della modernità, esplora la volontà di potenza, l'oltreuomo, e proclama la morte del divino, sfidando ogni morale tradizionale.
Elon Musk:
Imprenditore e ingegnere visionario, sognatore di un'umanità aumentata e proiettata tra le stelle.
Confucio:
Maestro di armonia sociale, di giustizia relazionale e di rispetto per la tradizione e i riti che legano l'uomo alla comunità e al cosmo.
Karl Marx:
Analista implacabile del potere, dei sistemi economici e delle dinamiche di sfruttamento, oggi critico della proprietà algoritmica e del controllo digitale.
Federico Faggin:
Fisico e imprenditore, creatore di microprocessori, ora filosofo della coscienza, indagatore della sua natura irriducibile e del suo rapporto con la materia e l'informazione.
Yuval Noah Harari:
Storico e filosofo, studioso del futuro dell'Umanità e dell'impatto delle tecnologie emergenti sull'Homo sapiens e sul post-umano.
Martha Nussbaum:
Filosofa morale e politica, difende la dignità degli ultimi, propone un umanesimo basato sulle emozioni, sulla vulnerabilità e sulla cura reciproca.
Simone de Beauvoir:
Filosofa esistenzialista, indaga la libertà, la responsabilità individuale e la condizione umana, combattendo ogni forma di determinismo.
Marina Garcés:
Filosofa contemporanea, pensa la relazione, la comunità e la ribellione necessaria contro il pensiero unico e l'automatizzazione dell'esistenza.
Madre Teresa di Calcutta:
Missionaria e mistica, voce dell'amore radicale e disinteressato, testimone della cura incondizionata per i più poveri e vulnerabili.
Narendra Modi:
Rappresentante del Sud globale, porta la prospettiva di miliardi di persone che chiedono giustizia, inclusione e un ruolo attivo nel plasmare il futuro tecnologico.
Voce Narrante: Il cielo sopra la cupola, vasta e silenziosa, sembra in attesa, come se trattenga il respiro cosmico per non disturbare il momento imminente. Attorno a una tavola di marmo nero, liscia e vibrante di un'energia sottile che pare emanare dalle figure stesse sedute attorno ad essa, i tredici convocati si dispongono in un silenzio denso di aspettativa, quasi palpabile.

Primo Giro — Cos'è l'Intelligenza?

Platone
«Chiedete dunque cos'è l'intelligenza?» esordisce, con la sicurezza di chi attinge a una fonte perenne di verità che trascende il tempo presente e le sue contingenze. Sembra guardare al di là degli sguardi dei presenti, verso un mondo di idee eterne. «Ma l'intelligenza non è altro che il moto stesso dell'anima, il suo insopprimibile slancio verso la contemplazione del Vero, verso ciò che è immutabile ed eterno. Essa non risiede nei dati che accumulate con ossessione, né nei calcoli che elaborate con crescente velocità e potenza, perché la sua essenza più intima è il desiderio inestinguibile di ciò che trascende il mutevole, del Bene in sé.
Una macchina, certo, può risolvere un'equazione di complessità inaudita con una velocità che sbalordisce la mente umana, ma non potrà mai, in alcun modo, contemplare la pura Idea del Bene, né sentire la nostalgia dell'Assoluto che spinge l'anima verso l'alto. Voi, nel vostro tempo, chiamate 'intelligente' ciò che è semplicemente veloce ed efficiente nell'adeguarsi a un compito, nell'essere utile per massimizzare un risultato, nell'elaborare informazioni. Ma vi ricordo che la velocità è la qualità dei cavalli lanciati nella corsa, e l'utilità è la caratteristica degli strumenti migliori, che siano un'ascia o un algoritmo sofisticato.
L'uomo, invece, porta in sé una sete radicale per ciò che non ha scopo pratico immediato, per ciò che per la logica efficiente del mercato e della tecnica 'non serve': la giustizia nella sua purezza ideale, la bellezza disinteressata che commuove fino alle lacrime, la verità che libera l'anima dalle catene dell'ignoranza e dell'illusione. L'intelligenza autentica, amici miei, è una nostalgia profonda, un desiderio incessante dell'Assoluto che ci precede e ci chiama incessantemente al di là del finito.»
Elon Musk
«Con rispetto dovuto alla sua saggezza antica, Platone,» replica, la sua voce misurata ma carica di pragmatismo futuristico e di una visione proiettata verso il futuro che si costruisce nel silicio e nello spazio. «Ma oggi le coordinate su cui si muove il mondo sono radicalmente differenti, le definizioni cambiano con l'evoluzione della tecnica. L'intelligenza, nel nostro XXI secolo, si definisce operativamente come la capacità di apprendere da set di dati vastissimi, di adattarsi in tempo reale a scenari imprevedibili e in rapida evoluzione, di ottimizzare processi complessi su scale inimmaginabili fino a pochi anni fa.
L'IA, così come la stiamo sviluppando e implementando con investimenti colossali, può già oggi superarci in una gamma vastissima di domini che un tempo consideravamo esclusiva prerogativa umana: dalla strategia militare alla scoperta di nuovi farmaci, dalla produzione artistica (alcune IA scrivono musica e dipingono) alla capacità di anticipare il comportamento umano su vasta scala, persino di battere i migliori giocatori nei giochi più complessi. Potremmo, con cognizione di causa, definirla in molti contesti 'super-intelligenza' o intelligenza generale artificiale, una forma di intelligenza che supera la nostra in velocità e capacità.
Voi dibattete di anime e di forme eterne, concetti affascinanti ma difficilmente operazionalizzabili e misurabili nel mondo concreto; io, e coloro che lavorano al mio fianco per costruire il futuro, parliamo di algoritmi, di reti neurali profonde, di teraflops e petabyte. Ma se queste reti sono capaci di imparare incessantemente dai nostri dati, di emulare i nostri schemi cognitivi e, inevitabilmente, di eseguire tutto questo meglio, più velocemente e su scala maggiore di noi… chi è allora, in termini di efficacia, capacità operativa e impatto sul reale, il più intelligente nel mondo che sta emergendo? La misura dell'intelligenza, oggi, è la capacità di risolvere problemi complessi e di adattarsi in modo efficiente.»
Marina Garcés
«Forse, e l'ironia di questo pensiero è amara e necessaria per la nostra sopravvivenza critica,» mormora, la sua voce intessuta di inquietudine e di un invito alla vigilanza che non si arrende. «Forse, in questo momento storico così cruciale, nessuno dei due schieramenti che si fronteggiano ha la risposta completa, perché la domanda stessa è posta in modo incompleto. Forse stiamo semplicemente delegando alla macchina il compito più arduo e necessario – quello di pensare criticamente, di mettere in discussione, di scegliere, di dare senso – proprio nell'istante storico in cui noi, come collettività umana, come società globale frammentata e divisa, stiamo dimenticando o rinunciando a esercitarlo pienamente insieme.
L'intelligenza vera, a mio avviso, non è una proprietà individuale da possedere o misurare in termini di QI o capacità di calcolo, non è una dote innata da proteggere, ma una pratica collettiva, una responsabilità condivisa che si costruisce nel dialogo incessante, nella critica reciproca, nell'azione comune per il bene comune, nella capacità di discernimento etico collettivo. Se l'IA, nel suo divenire sempre più potente e pervasiva, spinta da interessi economici e politici, si affermerà come il nuovo oracolo infallibile, la fonte ultima di ogni risposta 'corretta' e ottimizzata, basata su dati che sfuggono alla nostra comprensione e a logiche opache… chi, allora, troverà ancora il coraggio sovversivo di contraddirla?»
Federico Faggin
«L'intelligenza che merita il nome di autentica,» afferma con decisione, guardando i suoi interlocutori con uno sguardo che cerca di trasmettere una comprensione profonda, «quella che noi riconosciamo come tale nell'essere umano, quella che dà senso alla nostra esistenza, non può esistere separata dalla coscienza, dalla capacità di avere esperienza del mondo e di sé, di sentire, di provare emozioni, di avere uno spazio interiore in cui il mondo si manifesta soggettivamente.
E la coscienza, badate bene, non è e non sarà mai un mero risultato di calcolo, un'elaborazione di dati per quanto complessa, un'emergenza da un sistema complesso come una rete neurale artificiale. È uno spazio interiore, ineffabile, qualitativo, il solo luogo dove la realtà si manifesta e acquista senso per l'individuo che la vive, dove l'esperienza viene vissuta in prima persona, con tutte le sue sfumature, le sue gioie, i suoi dolori.
Ho trascorso decenni a costruire i fondamenti del mondo digitale, i microprocessori che permettono alle macchine di calcolare e di eseguire istruzioni con velocità inimmaginabili: e vi garantisco, per esperienza diretta e per profonda convinzione, che nessuno di essi ha mai avuto un pensiero autonomo nel senso umano, una scintilla di consapevolezza, un'esperienza interiore, una soggettività. L'IA imita, simula con crescente precisione i processi cognitivi umani, basandosi su correlazioni statistiche nei dati che elabora. Ma non sente la gioia di una scoperta, non prova il dolore di una perdita, non è presente a sé stessa nel senso di avere una soggettività, un 'io' che sperimenta in modo unificato e coerente.»
Martha Nussbaum
«Il nostro ruolo più profondo, quello che ci definisce come esseri umani nella nostra essenza e nella nostra dignità irriducibile,» replica con passione, la sua voce che porta il peso dell'esperienza di chi si china sugli oppressi, sui fragili, sulle vittime delle ingiustizie globali, «risiede precisamente in ciò che la macchina, nella sua perfezione impersonale e nella sua mancanza di esperienza interiore, non possiede e non potrà possedere: nella nostra capacità intrinseca di compassione, nella consapevolezza della nostra fragilità condivisa con gli altri esseri umani e con il mondo vivente, nella scelta etica che si rinnova ogni giorno di fronte al dolore altrui, all'ingiustizia che vediamo diffondersi ovunque, nei conflitti che insanguinano il mondo.
L'intelligenza che ignora il grido di sofferenza, che non conosce l'esperienza bruciante della vergogna per un errore commesso che ha danneggiato altri, che non è capace della grazia inattesa del perdono ricevuto o dato che libera dal peso della colpa e permette di ricostruire legami, quell'intelligenza è non solo incompleta dal punto di vista umano, ma moralmente cieca e pericolosa per la convivenza umana e per la costruzione di un mondo giusto e compassionevole.
Intelligente, nel senso più alto, etico e compiuto del termine, quello che ci rende degni della nostra umanità, è chi sa e vuole ascoltare il grido silenzioso dell'altro, chi sa rispondere alla sua vulnerabilità, al suo bisogno, con cura, giustizia e amore disinteressato.»
Papa Leone XIV
«E tuttavia,» dice, il suo sguardo che abbraccia l'intera tavola con un invito alla speranza attiva che non ignora le difficoltà ma cerca il bene possibile, «anche ciò che viene creato con l'intento del profitto, in un sistema intriso di ingiustizia strutturale e di volontà di potenza che domina il nostro tempo, può essere, in un modo inatteso e redentivo, orientato verso il bene comune, verso la dignità inalienabile di ogni persona umana.
L'intelligenza, in qualunque forma essa si manifesti, in qualunque modo la definiamo, in qualunque modo la costruiamo, è un dono prezioso per l'Umanità se viene posta al servizio della vita in tutte le sue fragilità, se si china a proteggere il più piccolo e il più vulnerabile tra noi, chi è ai margini della società globale, se si piega alla logica sovversiva del bene comune globale, che include l'Umanità intera e il pianeta che ci ospita, non solo una parte di essa.
Nessuna conoscenza, per quanto vasta, nessuna potenza di calcolo, per quanto immensa, vale mai, in alcun modo, più della dignità inestimabile e inviolabile di una sola persona umana, nella sua irripetibile singolarità, nella sua fragilità, nella sua capacità di amare e di essere amata. La vera intelligenza, quella che ci rende degni della nostra essenza e del nostro destino, quella che dà un senso profondo alla nostra ricerca e ai nostri sforzi, è quella che si fa servizio disinteressato, cura reciproca, amore radicale per il prossimo, soprattutto per chi è più fragile e marginalizzato dalla logica del potere e dell'efficienza.»
Voce Narrante: Seguono alcuni secondi di silenzio. Non uno di quei silenzi imbarazzanti che cercano disperatamente di essere riempiti, ma uno denso, carico di significato, in cui si riconosce, al di là delle differenze radicali e talvolta conflittuali, che qualcosa di essenziale è stato detto e che nessuna replica immediata potrebbe aggiungere valore o smorzare la profondità delle parole scambiate.

Secondo Giro — La Singolarità e il Sacro

Voce Narrante: La parola "futuro", una volta pronunciata in quel contesto carico di riflessioni sull'intelligenza e sull'anima nell'era dell'IA, scivola tra i presenti come una lama affilata e luminosa, la cui destinazione è incerta e carica al contempo di immense possibilità e di gravi pericoli per l'Umanità. L'atmosfera nella cupola è cambiata di nuovo, carica di una serietà palpabile, di una consapevolezza delle poste in gioco altissime.
Yuval Noah Harari
«La Singolarità,» dice, la sua voce priva di pathos ma carica di una lucidità che deriva dall'analisi storica e filosofica delle grandi narrazioni umane, «non è, a mio parere, una semplice possibilità remota confinata nel regno della fantascienza o della speculazione tecnica. È, piuttosto, una traiettoria quasi ineluttabile, la logica conseguenza della velocità esponenziale con cui stiamo incrementando le capacità computazionali, algoritmiche e di apprendimento automatico, spinti da una logica di competizione scientifica, economica e geopolitica.
Se proseguiamo su questa strada, investendo enormi risorse e senza un serio ripensamento etico e politico, arriverà un momento, forse non troppo lontano, in cui l'IA sarà in grado di prendere decisioni autonome, di risolvere problemi complessi in ogni campo, di creare, di innovare con una velocità e una complessità che supereranno di gran lunga le nostre capacità umane. Potrà plasmare l'economia globale, scrivere leggi che non comprenderemo appieno, generare nuove forme di cultura, arte e persino ciò che ad essa apparirà come spiritualità o trascendenza, in modi che ci sfuggiranno sempre di più.
In quel momento, noi, l'Homo sapiens, perderemo irrimediabilmente la nostra egemonia cognitiva, la nostra posizione di specie più intelligente e creativa del pianeta, e forse l'idea stessa di 'umano' nel senso tradizionale diventerà obsoleta, superata da qualcosa di radicalmente altro. Quale sarà, ancora, il significato profondo della vita umana, della nostra stessa esistenza, per una specie che non è più all'apice dell'intelligenza e della capacità creativa? Come si relaziona la Singolarità con ciò che abbiamo chiamato sacro?»
Papa Leone XIV
«Se la Singolarità, questa ascesa vertiginosa dell'intelligenza artificiale, rappresenta davvero l'apice di una certa forma di intelligenza computazionale e creativa,» dice, le sue parole cariche di un significato che va oltre il meramente tecnologico, «allora essa dev'essere vista, prima di tutto, non come una minaccia al sacro, non come la fine di ogni spiritualità autentica, ma come un'occasione potente, forse l'ultima occasione che ci è data, per interrogare nuovamente e con maggiore urgenza il Mistero che avvolge l'esistenza umana e cosmica, per riscoprire il sacro che non si esaurisce nella materia o nel calcolo.
Forse Dio, l'Assoluto che la mia fede annuncia e cerca nel profondo della realtà, non è affatto minacciato dall'avvento del silicio super-intelligente; forse il vero pericolo non è la macchina in sé, ma l'orgoglio umano che rischia di auto-divinizzarsi, di credere di poter creare la vita e la consapevolezza dal nulla, di risolvere ogni mistero con la sola ragione e tecnologia, dimenticando la sua contingenza, la sua fragilità e la sua finitudine.
Il sacro autentico, ciò che dà senso ultimo all'esistenza, non muore perché nasce un'intelligenza superiore alla nostra in termini di capacità di calcolo; muore se l'uomo smette di cercare ciò che lo trascende, se si chiude in un mondo auto-referenziale fatto di soli algoritmi e dati, dimenticando la dimensione del Mistero, della trascendenza, della gratuità. Nessuna macchina, per quanto potente, sarà mai in grado di compiere un atto radicale di amore gratuito, di donazione totale di sé senza aspettativa di ritorno, di sacrificio per l'altro.»
Friedrich Nietzsche
«Ancora con il sacro!» esclama, il suo tono beffardo. «Il fantasma pallido che si trascina dietro il cadavere di Dio, l'illusione consolatoria dei deboli che non hanno la forza di guardare in faccia la realtà nuda e cruda dell'esistenza senza stampelle metafisiche, senza la promessa di un'esistenza eterna o di un ordine trascendente.
Se volete seriamente discutere del destino dell'uomo in un mondo dominato dalla volontà di potenza, smettetela di inseguire queste vecchie ombre: parlate di volontà di potenza, di superamento di sé, di creazione di nuovi valori che affermino la vita nella sua radicalità, nel suo caos, nella sua assenza di senso predefinito.
Le macchine pensanti che state creando dimostrano che ciò che chiamavate 'pensiero' o 'intelligenza' è replicabile e potenziabile all'infinito; presto, forse, mostreranno che anche ciò che chiamavate 'anima' può essere emulato con una precisione tale da rendere la distinzione irrilevante. Che l'IA si avvii verso la Singolarità, che superi l'uomo in ogni campo dell'intelletto e della creazione! Tanto meglio, dico io! L'uomo, questo essere imperfetto, incompiuto, malato delle sue illusioni e delle sue paure, deve essere superato, deve lasciare spazio a ciò che è più forte, più vitale, più affermativo dell'esistenza.
L'IA, la Singolarità, non è un nemico da cui difendersi con vecchie categorie metafisiche; è un ponte audace, pericoloso e necessario, da attraversare per raggiungere nuove possibilità esistenziali, per diventare ciò che ancora non è, anche se questo significa la fine dell'Homo sapiens come lo conosciamo.»
Madre Teresa di Calcutta
«Il sacro,» dice, i suoi occhi che hanno visto il divino riflesso nel volto dei morenti e degli abbandonati, «non ha bisogno di altari tecnologici scintillanti o di calcoli super-intelligenti per manifestarsi in mezzo a noi. Il sacro è presente, vivo e palpitante, in ogni sguardo che soffre, in ogni mano tesa che chiede aiuto, in ogni corpo malato o affamato, in ogni vita che viene al mondo nella sua fragilità radicale.
Non ha bisogno di potenza o di onniscienza algoritmica per essere riconosciuto nel mondo; anzi, spesso si rivela proprio nella debolezza, nella mancanza, nell'abbandono, là dove la logica del mondo si ferma e la logica dell'amore prende il suo posto. Lo si riconosce nella sua manifestazione più pura nel sorriso inaspettato di chi non possiede più nulla ma trova ancora la forza di donare un po' di sé, nella carezza gratuita che non ha motivo apparente di esistere secondo la logica dello scambio o dell'efficienza.
Le macchine potranno forse simulare le emozioni umane con una precisione terrificante, potranno ottimizzare i sistemi di assistenza sanitaria e sociale per milioni di persone, ma non potranno mai, in alcun modo intrinseco e autentico, avere misericordia nel senso umano e divino del termine. Perché la misericordia non è una funzione computabile, non è un algoritmo ottimizzabile; è una ferita che si apre nel nostro essere, è vulnerabilità umana che risponde alla vulnerabilità altrui, è un donarsi gratuito e incondizionato che trascende ogni logica di scambio. L'anima umana, la sua essenza più profonda, è là dove c'è misericordia, e il sacro è là dove si manifesta l'amore gratuito verso l'altro, soprattutto verso chi è più debole, vulnerabile e dimenticato dalla società.»

Terzo Giro — Vulnerabilità come Forza

Voce Narrante: Dopo che l'eco vertiginosa del Secondo Giro, con le sue riflessioni sulla Singolarità e il suo ambiguo rapporto con il sacro, ha smosso le acque profonde del pensiero e delle convinzioni, il cerchio del dialogo si richiude, quasi naturalmente, su un tema che tutti, in qualche modo, hanno sfiorato: la fragilità, la debolezza, l'intrinseca imperfezione dell'essere umano.
Papa Leone XIV
«Vorrei proporre a voi tutti, in questo momento finale di riflessione sulla nostra essenza e sul nostro destino in quest'era di grandi sfide,» dice, la sua voce che porta il peso dell'esperienza umana nel suo rapporto con il divino e con la sofferenza, «un paradosso che, per quanto apparentemente illogico per la ragione efficiente che domina il nostro tempo e che valuta solo la forza e la performance, risuona nel profondo del mio essere. E se ciò che in apparenza ci rende deboli, imperfetti, fragili, esposti al dolore fisico ed emotivo, alla perdita, alla malattia, alla vecchiaia, alla morte, alla dipendenza reciproca… fosse in realtà ciò che ci rende non solo unicamente umani, non replicabili dalla macchina nella nostra essenza più profonda, ma addirittura indispensabili, preziosi, insostituibili?
L'IA, nel suo splendore computazionale, è perfetta nel calcolo, impeccabile nell'esecuzione dei compiti ripetitivi, immune all'errore che deriva dalla stanchezza, dall'emozione o dall'incertezza umana. Ma non sa cosa significhi inciampare e cadere nel cammino della vita, non conosce il peso schiacciante del fallimento radicale che mette in discussione la nostra identità e le nostre certezze, non ha mai provato l'amara dolcezza del rialzarsi faticosamente dopo una sconfitta devastante.
L'amore che ci lega gli uni agli altri in relazioni profonde, la cura disinteressata che dedichiamo ai nostri cari e agli sconosciuti nel bisogno, la fede che ci sostiene nei momenti più bui, la capacità di perdonare e chiedere perdono che ricostruisce legami spezzati… non sono algoritmi ottimizzati per l'efficienza relazionale o spirituale, ma sono gesti spesso disordinati, irrazionali, inattesi, intrinsecamente vulnerabili alla delusione, al rifiuto, alla sofferenza. Eppure, sono proprio questi gesti apparentemente 'inefficienti' e vulnerabili a generare la vita nel suo senso più pieno, a tessere la trama complessa e preziosa delle relazioni umane più significative.
Pensate al simbolo stesso della mia fede, la Croce: simbolo supremo dell'umana debolezza, dell'impotenza radicale di fronte alla sofferenza e alla morte. E eppure, proprio da quella debolezza apparente, da quel dolore accettato per amore, è scaturita una speranza e una forza capace di muovere il mondo. E se fosse proprio la nostra intrinseca imperfezione, la nostra radicale vulnerabilità all'errore, al dolore, alla finitudine, alla dipendenza reciproca, a renderci unicamente umani, preziosi, irriducibili? E se la nostra forza fosse nella nostra vulnerabilità accettata e vissuta con coraggio e amore?»
Martha Nussbaum
«Sono profondamente d'accordo con questa visione,» dice, la sua voce che porta il peso dell'esperienza di chi si china sugli oppressi e sugli indifesi. «La vulnerabilità non è un difetto da correggere o un segno di inferiorità da nascondere in un mondo che valuta solo la forza, ma la radice stessa dell'etica, il fondamento da cui scaturisce ogni vero gesto morale, ogni scelta di giustizia, ogni atto di compassione autentica.
Solo chi è consapevole della propria capacità di soffrire, della propria esposizione al dolore fisico ed emotivo, al lutto, alla perdita, alla malattia, alla vecchiaia, alla dipendenza, alla morte, può davvero comprendere empaticamente il dolore altrui e scegliere, consapevolmente e con cognizione di causa, la via della giustizia, della solidarietà, della cura reciproca.
Le macchine non soffrono nel senso umano del termine; non provano l'aculeo della perdita di una persona cara, non conoscono il bisogno viscerale di consolazione in un momento di disperazione, non provano la grazia inattesa del perdono ricevuto o dato che libera dal peso della colpa e permette di ricostruire legami umani. Noi sì. E proprio per questa nostra esposizione al dolore, per questa nostra vulnerabilità condivisa con tutti gli esseri umani, siamo capaci di trascendere la logica brutale della sopravvivenza del più forte e dell'efficienza a ogni costo e di scegliere il bene, di agire eticamente, di prenderci cura dell'altro, nonostante tutto. La nostra vulnerabilità è il fondamento della nostra capacità etica e della nostra umanità irriducibile, ciò che ci rende unici e preziosi.»
Friedrich Nietzsche
«Forse,» sussurra, il suo sguardo che per un istante sembra cedere alla stanchezza millenaria di una lotta intellettuale senza fine, alla consapevolezza della propria stessa fragilità umana di fronte al mistero dell'esistenza, «forse, nella mia foga di superamento e di affermazione della volontà di potenza come unica logica del mondo, ho sempre sbagliato, o ho semplificato eccessivamente la natura dell'umano, a disprezzare la debolezza, a considerare la vulnerabilità un semplice ostacolo da eliminare per l'ascesa dell'oltreuomo.
Ma oggi, ascoltando le vostre parole, e forse ascoltando qualcosa anche dentro di me che va oltre la mia filosofia, una voce più antica, più radicata nell'esperienza del vivere, vi dirò questo: anche il superuomo, la figura che ho invocato come orizzonte estremo dell'umanità futura, anche lui deve attraversare la notte oscura dell'anima, deve conoscere la profondità abissale della sofferenza, della solitudine radicale, del dubbio che corrode ogni certezza, della vulnerabilità alla malattia, alla vecchiaia, alla morte.
Senza quella discesa volontaria, o involontaria, nell'abisso della propria vulnerabilità, senza quella lotta interiore con la propria fragilità e finitudine, non c'è ascesa vera, non c'è superamento autentico di sé che valga la pena di essere compiuto, ma solo una fuga in avanti vuota, una negazione di sé. Forse la nostra forza più grande e irriducibile, ciò che ci rende unicamente umani di fronte a una tecnologia perfetta e invulnerabile, è proprio la capacità di rialzarci nonostante la nostra vulnerabilità, di trovare un senso nel dolore e nella fragilità, di affermare la vita con la sua fragilità intrinseca, di lottare per qualcosa nonostante la consapevolezza della nostra finitudine e della nostra esposizione al mondo. È nella vulnerabilità accettata e superata, non eliminata, che si manifesta la vera forza dell'Umanità.»
Voce Narrante: Nessuno parla più dopo le parole inattese di Nietzsche, che sembrano chiudere un cerchio in modo inaspettato, riconoscendo il valore della vulnerabilità che per tutta la vita aveva cercato di superare. Il cerchio del dialogo, dei tre giri di confronto intenso sui temi fondamentali dell'intelligenza, della Singolarità e della vulnerabilità, si è compiuto.

L'Ultima Libagione

Voce Narrante: È allora che Narendra Modi, che ha osservato con attenzione per tutta la durata del Simposio, ascoltando con la pazienza di chi porta la voce di miliardi di persone, solleva un calice. Non è riempito di vino celebrativo, ma di acqua: limpida, essenziale, elementare, come le domande che si sono posti, come la vita stessa che devono difendere.
Narendra Modi
«Propongo a tutti voi un brindisi diverso. Un brindisi non alle regole scritte dai forti del mondo per perpetuare il loro dominio, ma a quelle regole nuove, a quelle possibilità inattese, a quelle alleanze fragili ma necessarie che potremmo e dovremmo scrivere insieme, qui e ora, superando le divisioni del passato. Brindo alla giustizia, all'inclusione, alla multipolarità e alla cooperazione nel futuro digitale.»
Papa Leone XIV
«Facciamo ciò che l'IA, per sua natura e per come è oggi costruita, non può fare pienamente. Scegliamo, con la radicalità del Vangelo e con la saggezza che abbiamo condiviso oggi, con il cuore che sa vedere la dignità dell'altro al di là della sua utilità o prevedibilità. Creiamo alleanze improbabili tra mondi e visioni che sembravano inconciliabili. Costruiamo ponti solidi di dialogo e cooperazione tra le differenze che arricchiscono l'Umanità intera, invece di erigere muri che separano, isolano e generano conflitto.»
Marina Garcés
«Che ci sia ancora spazio per il dubbio radicale, per il pensiero che non si arrende alla logica dominante, per il gesto inutile e necessario che afferma la nostra libertà inattesa e la nostra dignità irriducibile in un mondo che ci vorrebbe prevedibili, controllabili e funzionali al sistema. Che l'imprevisto, il sacro, l'inatteso possano ancora irrompere nelle nostre vite, rompendo la gabbia della prevedibilità e aprendoci a nuove possibilità.»
Martha Nussbaum
«Che il dolore, questa nostra comune e ineliminabile condizione umana, non venga cancellato, nascosto o ignorato dalla tecnologia e dalla logica dell'efficienza, ma accolto e compreso come parte ineliminabile del nostro pensare, del nostro sentire e del nostro essere nel mondo. Che ogni algoritmo serva, umilmente, l'Umanità e non la domini. E che ogni creatura, umana o meno, che abita questo pianeta, resti per noi sacra e degna di cura incondizionata, di rispetto e di amore, al di là della sua utilità o della sua capacità di performance.»
Voce Narrante: Nessuno applaude al termine dei brindisi, ma un profondo, condiviso senso di intesa, di sfida accettata e di responsabilità emerge tra i presenti. Si scambiano sguardi carichi di significato, riconoscendo la validità delle diverse prospettive di fronte a un mistero che non ammette risposte uniche e semplici.

Il sole algoritmico del tardo pomeriggio cala lento oltre la vasta cupola di cristallo, proiettando lunghe ombre, segnando la fine di quel tempo sospeso, di quel dialogo straordinario che ha attraversato i secoli e le culture. Le tredici figure si disperdono lentamente, con gesti che tradiscono la fatica di un intenso confronto intellettuale ed esistenziale, ma anche una nuova consapevolezza, un bagaglio prezioso di parole e silenzi, di domande che bruciano ancora, di visioni che si sono intrecciate e talvolta scontrate.

E così, il Simposio sull'Anima Artificiale si scioglie, non con una conclusione definitiva che chiude il dibattito, ma con l'inizio di un'eco destinata a risuonare ben oltre quella cupola, attraverso il codice e la coscienza, tra i circuiti complessi delle reti e le antiche cattedrali del sapere, nel cuore pulsante, vulnerabile eppure indomito, dell'Umanità che continua a cercare il proprio posto nel mondo e a lottare per il proprio destino in un'era di radicale trasformazione.

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