
Giuseppe Quintavalle, cosentino di nascita e romano d’adozione è l’attuale direttore generale di una delle Aziende Sanitarie pubbliche più grandi della Regione Lazio, per numero di strutture, di accreditati e per una popolazione fatta non solo di residenti ma di tutti i turisti del Centro Storico della Capitale, dei pendolari e della popolazione carceraria, nel territorio della ASL Roma 1 insistono infatti Istituti: la Casa circondariale di Regina Coeli e l’Istituto Penale Minorile di Casal del Marmo. Trent’anni di attività gli hanno consentito di maturare una profonda esperienza professionale come direttore generale nel settore della salute pubblica e di farsi promotore di molteplici iniziative come il progetto Convergenze di Cura o Grandi Ospedali, che riunisce le più importanti strutture ospedaliere pubbliche e private per sviluppare soluzioni all’avanguardia in grado di potenziare l’eccellenza clinica e la ricerca medica. Il Dott. Quintavalle ha anche una passione meno nota, quella per l’Africa, dove da anni opera come medico volontario.
Il continente africano si caratterizza per la diffusione di numerose malattie gravi e infettive, AIDS, tubercolosi, malaria, febbre gialla – solo per citarne alcune delle più comuni – e per un sistema sanitario piuttosto carente a causa di bassi e discontinui finanziamenti e di una diffusa debolezza delle infrastrutture e delle risorse
In un contesto così ricco di problematiche, il ruolo dei medici volontari è quindi fondamentale per assistere coloro che non sono in grado di provvedere alle proprie spese mediche.
D: Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in Africa è presente una media di 2,9 professionisti sanitari ogni mille pazienti: è quindi facile comprendere quale risorsa siano i medici volontari come lei in questo paese, che scelgono di donare il proprio, partendo per un’esperienza di volontariato in questo territorio. Dott. Quintavalle, lei è appena rientrato dall’Africa, come è stata e da dove nasce questa iniziativa?
R: Sono rientrato da poco da quello che è stato il mio ultimo viaggio in Benin dove con il caro amico e collega, Michelangelo Bartolo, abbiamo installato una centrale di telemedicina insieme alla Global Health Telemedicine, una onlus nata dall’esperienza del programma “Dream” della Comunità di Sant’Egidio dedicato alla cura dell’ HIV e che oggi offre un servizio di teleconsulto medico, gratuito e multidisciplinare, avvalendosi di un team di specialisti italiani che prestano gratuitamente la loro consulenza. L’iniziativa è stata pianificata e messa a terra grazie alla donazione di “Tennis and Friends Salute e Sport”, la fondazioni che da anni unisce sport e prevenzione grazie a testimonial di eccezione e kermesse di alto livello.
Ma il mio amore per l’Africa nasce da molto lontano. Il mio primo viaggio risale a oltre 15 anni fa, da allora non c’è stato un solo giorno che non mi sia sentito connesso con questo continente. Ricordo ancora la prima volta che vidi Grégoire Ahongbonon, conosciuto come il Basaglia d’Africa, che senza essere medico o psichiatra ha messo tutto il suo impegno impegno per salvare e accogliere oltre sessantamila malati psichici. Le persone con malattie psichiche in questi paesi sono stigmatizzate e additate come vittime di stregoneria, spesso incatenate con disumanità. Sono esperienze che ti segnano, prestare soccorso a queste persone ti restituisce moltissimo in termini emotivi. Con poco si può fare davvero tanto per aiutare concretamente e dare un futuro a tanti che hanno perso anche la speranza.
D: Come riesce a conciliare l’impegnativo lavoro di Direttore Generale della ASL Roma 1 con il suo impegno umanitario?
R: Non sono due cose distinte a mio modo di vedere. Come Direttore Generale della ASL Roma 1 cerco di intercettare i bisogni di salute delle persone e prevenirli laddove possibile. Con l’Africa è la stessa cosa, mi impegno al massimo per portare tutto l’aiuto possibile, cercando anche di incastrare i due universi come vasi comunicanti. Quello che cambia sono le dinamiche, le relazioni e soprattutto la percezione. Quello che in Italia ci sembra scontato, anche in relazione ai diritti umani, agli approvvigionamenti, ai servizi offerti, nel continente Africano è percepito come un dono. Credo che ognuno di noi dovrebbe fare un viaggio di questo tipo, se non altro per rendersi conto dell’eccellenza del Servizio Sanitario Nazionale, che
D: Pensa che la telemedicina possa fare la differenza?
La telemedicina ha tutto il potenziale per migliorare l’accessibilità e la qualità dell’assistenza sanitaria. Lo vediamo anche nel nostro Paese, ci consente di fornire assistenza a pazienti che non si trovano nello stesso luogo dei professionisti sanitari; introdurla nei PDTA (Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali) è essenziale e particolarmente vantaggioso, nella gestione della malattie croniche, nel monitoraggio costante, nelle valutazioni cliniche. Abbiamo la possibilità di usare la tecnologia per facilitare chi ha bisogno di cure, è un nostro dovere usarla al meglio.
Pensiamo all’Africa dove le distanze, anche brevi, possono diventare quasi insormontabili, la mancanza di infrastrutture e di specialisti può essere compensata proprio in questo modo. Resta tuttavia fondamentale garantire una continuità di questi percorsi, perché non si trasformino in delle monadi non replicabili.