Tutti siamo stati spettatori delle terribili immagini provenienti dalla ASL di Foggia. Operatori sanitari costretti a barricarsi per difendersi da minacce e aggressioni lasciandoci increduli e preoccupati. Episodi come questi ci costringono a riflettere su una realtà sempre più diffusa nel nostro Paese: il deterioramento del rapporto tra medici e pazienti. Quanto affermato da Paolo Petralia, vicepresidente FIASO, ci offre spunti importanti per comprendere la gravità della situazione.
Le aggressioni ai danni del personale sanitario non sono più episodi isolati, ma spesso veri e propri atti premeditati, che vedono la partecipazione di gruppi organizzati. Questo fenomeno è particolarmente allarmante, perché segna una frattura profonda nel legame di fiducia che dovrebbe esistere tra paziente e medico. Come sottolinea Petralia, è inconcepibile che un percorso di cura possa sfociare in atti di ritorsione solo perché il risultato non è quello sperato. Questa è una questione che ci impone di fermarci e riflettere sul valore e sul rispetto del lavoro svolto dai professionisti della salute.
La salute, come ricorda la nostra Costituzione, è un diritto individuale e un interesse collettivo. Ma tale diritto non può essere garantito se coloro che lavorano per tutelarlo si trovano costantemente minacciati. Non è sufficiente concentrarsi solo sugli aspetti clinici della cura; è fondamentale che la salute venga percepita come un bene comune, un valore che riguarda l’intera società. Il nostro dovere, come cittadini, è di sostenere e proteggere chi ogni giorno si impegna per assicurare cure e assistenza.
Il paradosso che fa emergere Petralia è drammatico: durante la pandemia, i medici e gli infermieri erano considerati eroi, ma oggi le aggressioni contro di loro sono diventate all’ordine del giorno. Questo cambiamento nella percezione del ruolo del personale sanitario è emblematico di un problema più ampio, che richiede un intervento non solo legislativo, ma anche culturale. È necessario ripensare il rapporto tra operatori sanitari e cittadini, promuovendo un dialogo che riporti al centro il rispetto reciproco.
Le conseguenze di questo clima di tensione non ricadono solo sui singoli professionisti, ma sull’intero sistema sanitario. Quando un medico o un infermiere decide di lasciare il proprio lavoro a causa delle minacce o della paura, l’intera comunità ne soffre. È essenziale, quindi, adottare misure concrete che possano garantire la sicurezza del personale sanitario e, al contempo, proteggere la qualità dei servizi offerti.
Quello che Fiaso suggerisce è l’adozione di strumenti di deterrenza, come il fermo di polizia e l’istituzione della flagranza differita, affinché gli atti di violenza nei confronti degli operatori sanitari vengano trattati come veri e propri reati contro la salute pubblica. Questa proposta rappresenta un passo avanti necessario, ma non sufficiente. Serve una risposta coordinata da parte delle istituzioni, delle forze dell’ordine e della magistratura, per garantire un intervento rapido ed efficace contro chi mette in pericolo la sicurezza di chi lavora negli ospedali e nei Pronto Soccorso.
È necessario uno «scatto in avanti di responsabilità civica». Ognuno di noi ha un ruolo nel proteggere la salute pubblica, che non è solo un diritto individuale, ma un bene comune. Solo unendo le forze e lavorando insieme potremo garantire che i nostri professionisti della salute possano continuare a fare il loro lavoro in sicurezza, per il bene di tutti.
«È necessaria una presa di responsabilità civica da parte di ciascuno di noi», conclude Petralia, «affinché si possa costruire insieme una tutela della salute pubblica, che è anche una tutela della nostra salute individuale, trovando nel bene comune la sua garanzia più solida e autentica».
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