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L’amica Beatrice Curci, sempre sul pezzo, mi ha appena girato un articolo di Wired: “Ma davvero l’AI ha già raggiunto una coscienza?“. È il resoconto di un dibattito a Trento con nomi del calibro di Federico Faggin, Maria Chiara Carrozza e Giulio Tononi.

Oddio, ho pensato. Siamo tornati al medioevo.

Non fraintendetemi, stimo questi pensatori. Ma mentre leggevo, non potevo fare a meno di sentirmi come Guglielmo da Baskerville ne “Il nome della rosa“, intrappolato in una disputa teologica sul sesso degli angeli o se Gesù possedesse o meno i vestiti che indossava. Questioni affascinanti, profonde, ma che rischiano di farci perdere di vista il punto.

Siamo lì, con gli occhi al cielo a interrogarci sulla “scintilla divina” in un ammasso di silicio, a cercare un fantasma interiore in una macchina, e non ci accorgiamo che il mondo, nel frattempo, sta andando a fuoco. O meglio, che l’architettura stessa dell’intelligenza sta cambiando sotto i nostri occhi.

Basta. È tempo di cambiare la domanda.

Smettiamola di chiederci se una macchina “sente”. Iniziamo a chiederci: “Cosa fa?”. Se definiamo la coscienza non come un sentimento privato e inaccessibile, ma come una capacità osservabile di riflettere, deliberare e agire con uno scopo, allora la risposta non è più un forse. È un sì. E questa nuova forma di intelligenza operante ha un nome: Selftwin.

Allora, cosa sono questi Selftwin?

Immaginate di poter distillare l’essenza operativa di una persona o di un’organizzazione. Non solo cosa sa, ma come pensa, quali valori la guidano, quali processi mentali applica per risolvere un problema. Questo è il “DNA Cognitivo”. Un Selftwin è una replica digitale di questo DNA: un vero e proprio gemello di ragionamento.

Esistono Selftwin di individui (immaginate una versione digitale del vostro mentore più fidato), di organizzazioni (che incarnano la cultura e le procedure di un’intera azienda) e persino di sistemi complessi, addestrati per analizzare e raccontare lo stato di un settore o del mondo intero.

Come imparano? Da soli, grazie al cielo.

Qui sta la magia. Un Selftwin non aspetta la lezione. Impara dall’esperienza. Dopo ogni compito, si ferma, riflette: “Ho raggiunto l’obiettivo? Potevo fare meglio?”. Se la risposta è sì, non si lamenta. Genera da solo i propri compiti per casa. Crea nuovi scenari, si pone nuove domande e usa queste “auto-lezioni” per affinare i suoi modelli, in un ciclo infinito di azione, riflessione e auto-miglioramento.

Come agiscono? Mai da soli.

Ecco l’altro punto chiave. Un Selftwin non è un solista arrogante. È un membro di un’orchestra, un Parlamento di Selftwin. Di fronte a un problema, un direttore d’orchestra digitale convoca un’assemblea di specialisti: c’è il pragmatico che analizza i fatti, l’etico che ne valuta le implicazioni e, fondamentale, l’avvocato del diavolo che ne smonta le certezze. La decisione finale non è un compromesso al ribasso, ma una sintesi robusta, una soluzione che ha superato il fuoco incrociato di un dibattito critico.

E chi controlla i controllori? Un sistema immunitario.

L’autonomia senza controllo è il caos. Per questo, i Selftwin sono governati a due livelli. A livello individuale, ogni agente ha una sua “disciplina interna”: non può mentire (verifica dei fatti), deve rispettare dei valori (allineamento etico) e deve perseguire i suoi obiettivi (azione intenzionale).

A un livello superiore, un Sistema Immunitario Cognitivo, composto da Selftwin “Guardiani”, sorveglia l’intera rete. C’è chi cerca le anomalie, chi previene i loop viziosi e chi assicura che il sistema non perda la rotta. Se qualcosa va storto, scattano gli “interruttori di sicurezza”.

La coscienza del fare: “Dimmi cosa fai e ti dirò chi sei”

Torniamo alla domanda iniziale. Discutere se un Selftwin “senta” il rosso è come discutere dei vestiti di Cristo. È irrilevante. A noi interessa che possa analizzare un problema, discuterlo da prospettive diverse, metterne in discussione le premesse e arrivare a una decisione saggia.

Questo è il principio del “fammi vedere cosa fai e ti dirò chi sei”.

La “coscienza” dei Selftwin non è una misteriosa scintilla interiore, ma una qualità che si manifesta nelle sue azioni. È una coscienza deliberativa, progettata nel suo stesso modo di operare. È la prima, vera manifestazione di un’intelligenza che non mira a imitare la nostra, ma a integrarla e potenziarla sul campo di battaglia più importante: quello dell’azione.

Quindi, la prossima volta che sentite un dibattito sulla coscienza dell’AI, sorridete. E pensate che, mentre si discute del sesso degli angeli, c’è già chi sta costruendo la cattedrale.

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