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Ripensarci tutti insieme come “costruttori di salute”, a partire dal riconoscimento del suo essere un bene comune — contemporaneamente di ciascuno e di tutti — e come tale, esigenza fondamentale della persona.

Vale la pena interpretare in questa prospettiva la sanità pubblica italiana, che sta attraversando un momento particolarmente critico sotto diversi punti di vista, ma potenzialmente altrettanto foriero di occasioni di miglioramento.

Gli elementi della crisi

Come ogni tempo di cambiamento, il carattere di “crisi” accentua l’esigenza di revisione e di ripartenza, con il suo carico di aspettative correlate: e così è anche per il nostro Sistema Sanitario Nazionale.

La domanda di salute cresce e le aspettative della popolazione di ricevere cure secondo criteri di equità sono sempre più pressanti. A cominciare dall’esigibilità dei LEA e dal recupero ancora di quel terzo di prestazioni perso durante la pandemia, nonché dallo sviluppo delle nuove attività previste dal rilancio della sanità territoriale con il DM 77/22 e dagli investimenti in edilizia, tecnologia e digitalizzazione sanitaria determinati dal PNRR.

Un periodo tutt’altro che semplice, caratterizzato però innanzitutto dalla “fuga” del personale sanitario dalle Aziende pubbliche, che si manifesta attraverso una serie di epifenomeni che rappresentano un segnale da non sottovalutare: la fuga del personale medico dalle corsie e dal rapporto di lavoro dipendente a favore del lavoro nel settore privato o nelle cooperative di professionisti; la progressiva cessazione dal rapporto di lavoro dei Medici di Medicina Generale non sostituiti da giovani medici; la progressiva riduzione del personale infermieristico in servizio accompagnata dalla carenza di immatricolazioni alle facoltà delle professioni infermieristiche. Nelle nostre Aziende manca il ricambio generazionale, gli organici sono sempre più vecchi e i posti disponibili in alcune specialità mediche e nella facoltà di infermieristica non vengono saturati da nuovi iscritti, quasi a caratterizzare una vera e propria “crisi vocazionale”, ammettendo che queste professioni non rispondono più alle aspettative dei giovani.

Alla carenza di risorse umane – il principale capitale aziendale – si aggiunge la contestuale contrazione di risorse economiche, a rendere sempre meno sostenibile il rapporto tra costi di produzione e prestazioni sociosanitarie erogate: non solo in ragione della spinta inflattiva, della crisi energetica e delle parziali mancate coperture alle spese straordinarie, che stanno mandando in crisi i conti delle Regioni fin qui più virtuose. Ma anche per la costante crescita del costo dei fattori produttivi in sé, come i farmaci e i dispositivi medici, e la non riduzione delle prestazioni inappropriate. In questa congiuntura, l’indicazione di rallentamento se non di riduzione per il prossimo triennio delle risorse a finanziamento del fondo sanitario nazionale aggiungono un forte rischio di insostenibilità di sistema e di perdita di equità nell’accesso alle cure.

Cambiare rotta

Come riuscire a coniugare allora, ad esempio, l’aumento del reclutamento del personale sanitario, l’abbattimento delle liste di attesa e la ripresa degli screening con un riparto delle risorse insufficiente? Certamente valorizzando competenze e eccellenze, efficientando le integrazioni tra ospedale e territorio e tra sociale e sanitario, e promuovendo con lo sviluppo della ricerca e del trasferimento tecnologico il motore dell’innovazione. Non dimenticando però la necessaria contestuale valorizzazione degli Operatori in termini di carriere e contratti, ma anche di regole di ingaggio e di eliminazione di tetti di spesa. E naturalmente con un fondo sanitario nazionale saldamente ancorato ad una percentuale sostenibile del prodotto interno lordo, comprensibilmente difficile da farsi nel quadro della finanza pubblica ma necessario alla salvaguardia della tenuta del SSN.

Certamente però servono anche cambiamenti: a cominciare dalla riflessione su di un universalismo selettivo per le prestazioni offerte dal SSN, a nuove politiche di responsabilizzazione dei professionisti prescrittori delle stesse, fino ad un ruolo esigibile dei cittadini come parte integrante e attiva nei percorsi di prevenzione e di salute, al di là ed oltre q quello di passivo utente del diritto alle cure.

Il management del cambiamento

In tutto questo il management aziendale gioca un ruolo fondamentale, come regista del cambiamento e di una stagione di partecipazione e coinvolgimento nella governance sociosanitaria di tutti gli attori comunitari. Per costruire una sanità di prossimità e personalizzata, orizzonte costitutivo di una medicina umanizzata e umanizzante, sempre più evocata ed invocata a tutti i livelli. Ma al tempo stesso capace di introdurre metodologie gestionali innovative e di valore, come la digitalizzazione – paradigma di un nuovo ecosistema per attività globali, ad alto contenuto tecnologico e fruibili anche a distanza – ed un pensiero “snello e dirompente” con cui fornire alla governance aziendale principi, strumenti e opportunità di innovazione e cambiamento reale che poi si possono tradurre in beneficio per l’organizzazione. Una delle strade per un rinnovamento sostenibile, capace di ingaggiare le persone dal punto di vista delle soft-skill e della motivazione: partecipare a un cambiamento significa dunque migliorare se stessi e la propria organizzazione, realizzando strutture gestionali agili, che lavorano per processi e che si pongono l’obiettivo di eliminare gli sprechi, ricercando aree di miglioramento e di valore, nel rispetto degli attori coinvolti.

Lavorare su ciascuna di queste prospettive potrà offrire spunti e considerazioni utili per tentare tutti insieme, come “costruttori di salute”, un rilancio del nostro sistema sanitario nazionale, in termini di investimento sulla salute e pertanto, a cascata, su tutte le politiche settoriali del Paese.

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