La storia del dottor Claudio Vagnini, attuale direttore generale dell’ospedale universitario di Modena, rappresenta un potente esempio di come l’esperienza personale possa trasformare profondamente l’approccio alla medicina e alla cura dei pazienti. Nel 2002, Vagnini si trovò improvvisamente dall’altra parte della barricata quando gli fu diagnosticato un linfoma non Hodgkin di terzo grado, una forma grave di tumore che lo costrinse a sottoporsi a sei cicli di chemioterapia e venti sedute di radioterapia.
“Da malato diventi una persona in mano ad alcune persone che si occupano di te”, racconta Vagnini, descrivendo il profondo cambiamento di prospettiva vissuto durante la malattia. Nonostante riconosca di aver ricevuto cure cliniche eccellenti, Vagnini identifica una mancanza cruciale nella sua esperienza come paziente: “Mi sono mancati dei pezzi che avevano più a che fare con la mia sfera emotiva. Mancava un po’ questo aspetto empatico. Avevo bisogno di essere tranquillizzato da chi aveva in mano la mia vita in quel momento.”
La sua esperienza personale ha evidenziato come anche piccoli dettagli della routine ospedaliera possano diventare momenti di profondo disagio per i pazienti. Racconta un episodio particolarmente significativo durante una PET: costretto a bere molta acqua e poi a trattenere per un tempo eccessivamente lungo, si trovò in una situazione che definisce “degradante”. “Ho sempre pensato che fosse una cosa che non dovrebbe provare nessuno”, afferma, sottolineando come questa esperienza abbia plasmato la sua visione dell’assistenza sanitaria.
Questa trasformazione personale si riflette oggi nel suo approccio alla gestione ospedaliera. Come direttore generale, Vagnini promuove attivamente progetti di umanizzazione delle cure che “costano zero” ma hanno un impatto significativo sulla qualità dell’assistenza. La sua filosofia si basa sulla convinzione che l’attenzione al paziente non debba essere solo terapeutica, ma debba includere anche aspetti umani e relazionali.
Il suo impegno si inserisce perfettamente nel più ampio progetto “HumanCare”, un’iniziativa che mira a trasformare l’approccio alla cura sanitaria in Italia, ponendo la persona – non solo il paziente – al centro dell’assistenza. Come sottolinea Vagnini, “Non sono un rivoluzionario, sono solo figlio della mia storia”, una storia che dimostra come l’esperienza personale possa tradursi in cambiamenti concreti nel sistema sanitario.
La sua testimonianza evidenzia come l’umanizzazione delle cure non sia solo un concetto astratto, ma una necessità pratica che nasce dall’esperienza diretta di chi ha vissuto la malattia da entrambe le prospettive. È un promemoria potente di come la medicina non sia solo scienza, ma anche e soprattutto una professione profondamente umana.
L’esempio di Vagnini dimostra che quando l’esperienza personale si trasforma in impegno professionale, il risultato può essere un cambiamento significativo nel modo in cui viene erogata l’assistenza sanitaria, rendendo il sistema non solo più efficiente, ma anche più umano e attento alle esigenze emotive e psicologiche dei pazienti.