Approccio multidisciplinare al paziente con frattura di femore da fragilità: il modello di Fracture Liaison Service (FLS) dell’AOU di Padova
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29 Agosto 2024
di Deris Gianni Boemo¹ e Sandro Giannini²
¹Direttore UOSD Gestione Operativa Risorse Strategiche, Azienda Ospedale-Università Padova ²UOC Clinica Medica 1, Azienda Ospedale-Università Padova
Le malattie fragilizzanti dello scheletro e in particolare l’osteoporosi sono considerate un’emergenza sociale ed economico-sanitaria in gran parte dei Paesi industrializzati. Le fratture da fragilità rappresentano la maggiore complicanza dell’osteoporosi e si stima che in Italia, con il progressivo invecchiamento della popolazione, l’aumento dell’incidenza di fratture nel 2030 sarà del 22.4%, in linea con l’aumento previsto anche per i più grandi Paesi dell’Unione Europea nello stesso periodo. In particolare, in Italia, dal 2017 al 2030, si stima per il sesso femminile un aumento del numero di fratture del femore prossimale da 82.060 a 98.539, del numero di fratture vertebrali da 59.137 a 69.364 e delle fratture osteoporotiche maggiori (o MOF, Major Osteoporotic Fractures, ovvero dell’omero prossimale, del polso, del femore prossimale, della colonna vertebrale) da 194.132 a 230.120.
Le fratture da fragilità rappresentano eventi con conseguenze severe sia sulla mortalità che sulla qualità di vita del singolo paziente; infatti, la mortalità dopo una frattura di femore è del 15-25%, mentre il 30% dei pazienti diviene permanentemente disabile, il 40% perde la capacità di camminare autonomamente in modo definitivo e l’80% non può più svolgere autonomamente attività di vita quotidiana dopo la frattura. Inoltre, la perdita di autonomia è tale da rendere necessario il ricorso a istituti di assistenza. Ovviamente ciò si ripercuote negativamente anche sul Sistema Sanitario comportando un imponente aumento dei costi (dai circa 9 miliardi di euro all’anno nel 2017, ai circa 12 miliardi previsti nel 2030).
È stato ampiamente dimostrato come una frattura da fragilità, oltre a configurarsi come un evento negativo di per sé, rappresenti un importante fattore di rischio per lo sviluppo di ulteriori fratture, sia nello stesso sito che in un altro distretto osseo. In particolare, il rischio di rifrattura persiste anche fino ai 10 anni successivi alla prima frattura, ma appare estremamente elevato nel primo anno dopo la prima frattura. Per questo motivo è di fondamentale importanza individuare precocemente i pazienti che hanno subito una frattura da fragilità, in modo da delineare un percorso diagnostico-terapeutico efficace nella prevenzione della rifrattura e delle sue conseguenze.
Nonostante oggi si disponga di precise indicazioni terapeutiche e di molteplici trattamenti di comprovata e robusta efficacia, e che tali provvedimenti siano raccomandati dalle principali Linee Guida Internazionali e Nazionali in materia, è ben noto come, anche dopo una frattura osteoporotica maggiore, la percentuale di pazienti presi in carico, valutati e avviati alla terapia per la prevenzione secondaria sia assolutamente modesta ed insufficiente (gap frattura-prevenzione secondaria). Inoltre, dati internazionali ed anche propriamente italiani evidenziano come anche l’aderenza (compliance e persistenza) alle indicazioni terapeutiche sia assolutamente insufficiente a garantirne l’efficacia terapeutica nella prevenzione secondaria delle fratture. Oltre che sul singolo paziente, la scarsa prescrizione di farmaci anti-osteoporotici e supplementi di calcio/vitamina D, nonché la ridotta aderenza terapeutica, determinano un importante aumento anche a livello dei costi sanitari.
Di qui la necessità di delineare dei percorsi assistenziali integrati e multidisciplinari finalizzati al superamento del gap frattura-prevenzione secondaria, al corretto inquadramento clinico e all’appropriato trattamento del paziente fratturato, nonché al monitoraggio del paziente che riceve una terapia dopo la frattura al fine di garantirne la miglior aderenza.
Le principali società scientifiche nazionali e internazionali del settore raccomandano sempre più fortemente l’adozione di percorsi assistenziali organizzati e coordinati per la gestione clinica dei pazienti con fragilità ossea. Il modello definito Fracture Liaison Service (FLS) ne rappresenta un valido esempio, in quanto associato a riduzione del rischio di rifrattura da fragilità, con un profilo di costo-efficacia favorevole. I principi cardine di tale modello sono: 1) adozione di strategie di “case-findings” (preferenzialmente con algoritmi informatizzati), volte all’identificazione precoce dei soggetti con frattura da fragilità e pertanto ad alto rischio di rifrattura; 2) coordinamento delle principali figure sanitarie coinvolte nella gestione e nell’assistenza del paziente con frattura da fragilità; 3) valutazione clinica integrata finalizzata all’identificazione di eventuali fattori di rischio e comorbidità sottostanti; 4) definizione del percorso di cura individualizzato; 5) follow-up a lungo termine finalizzato al monitoraggio dell’aderenza terapeutica e degli outcome clinici.
A partire da Marzo 2023, nell’Azienda Ospedale-Università di Padova è stato istituito un programma FLS dedicato alla gestione dei pazienti con frattura di femore da fragilità, con età superiore o uguale a 50 anni. Il programma, fortemente voluto dalla Direzione dell’Azienda Ospedale-Università, vede coinvolte le seguenti aree funzionali: Accettazione e Pronto Soccorso (identificazione del paziente con frattura di femore e segnalazione automatica al coordinamento del programma), Ortopedica e Traumatologica (gestione chirurgica e post-operatoria), Internistica-Endocrinologica (valutazione clinica e di laboratorio, prescrizione di terapia anti-fratturativa), Geriatrica (valutazione multidimensionale, inclusiva di grado di autonomia funzionale e stato nutrizionale), Riabilitativa (elaborazione del programma riabilitativo), Coordinamento (automatizzazione dei processi di identificazione e segnalazione dei pazienti, implementazione di un percorso di case management).
La finalità del programma è quella di ottimizzare la gestione terapeutica del paziente con frattura non traumatica di femore durante la fase del ricovero e dopo la dimissione allo scopo di: migliorare l’attuale livello di identificazione del paziente con frattura non traumatica di femore al fine di garantire un percorso diagnostico-terapeutico appropriato; incrementare il numero di pazienti correttamente valutati in merito al proprio rischio fratturativo e alle eventuali cause secondarie di fragilità ossea; aumentare il numero di pazienti correttamente trattati per il rischio fratturativo secondo le indicazioni delle principali linee guida nazionali e internazionali, migliorando anche il livello di aderenza all’eventuale terapia prescritta; ridurre il rischio di rifrattura, nonché della disabilità da essa derivante e dei costi correlati. Come recentemente pubblicato, il programma dell’Azienda Ospedale-Università Padova si è dimostrato efficace nell’incrementare il tasso di trattamento anti-fratturativo nei pazienti ricoverati per frattura di femore da fragilità, un primo segnale incoraggiante per il raggiungimento degli obiettivi preposti.
In conclusione, il modello FLS rappresenta una strategia valida per ridurre gli outcome negativi conseguenti alle fratture da fragilità. Il punto di forza del modello padovano risiede nella multidisciplinarietà e nella stretta collaborazione tra diverse figure professionali, nonché nell’automatizzazione dei processi di identificazione e segnalazione dei pazienti. Espandere questa esperienza ad altre realtà ospedaliere potrebbe ulteriormente ottimizzare la qualità del percorso assistenziale per i pazienti con fragilità ossea.
Per approfondimenti è possibile rivolgersi ai seguenti contatti:
derisgianni.boemo@aopd.veneto.it, sandro.giannini@unipd.it
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