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Negli ultimi decenni, l’Italia ha visto un significativo aumento dell’età media della popolazione. Questo fenomeno, noto come invecchiamento demografico, è dovuto a vari fattori, tra cui il miglioramento delle condizioni di vita, l’avanzamento della medicina e una diminuzione del tasso di natalità. Secondo i dati dell’Istat, l’età media in Italia è passata da 42,3 anni nel 2002 a oltre 45 anni nel 2022, con una proiezione che indica un ulteriore aumento nei prossimi decenni.  Questo dato è indicativo di una longevità crescente, con le donne che vivono mediamente fino a 85,6 anni e gli uomini fino a 81,7 anni come confermato dal recente Report appena pubblicato da Eurostat. L’aspettativa di vita ha visto un incremento costante negli ultimi decenni, nonostante le fluttuazioni causate dalla pandemia di COVID-19.  L’aumento dell’età media e dell’aspettativa di vita ha portato a un incremento della percentuale di persone anziane. Attualmente, il 23,8% della popolazione italiana ha più di 65 anni, e si prevede che questa cifra possa aumentare fino al 34,5% entro il 2050. Questo fenomeno genera preoccupazioni riguardo ai costi associati all’assistenza sanitaria e previdenziale. Con l’aumento della percentuale di persone anziane, si osserva anche una maggiore necessità di cure mediche e trattamenti farmacologici. Nel periodo 2002-2022, la percentuale di individui di 65 anni e oltre è aumentata dal 16% al 21% a livello europeo, con l’Italia che ha raggiunto il 24%. Questo incremento si traduce in una crescente richiesta di servizi sanitari, in particolare per le malattie croniche tipiche dell’invecchiamento, come diabete e malattie cardiovascolari. La pandemia ha ulteriormente aggravato la situazione, evidenziando le debolezze del sistema sanitario e aumentando la pressione su di esso. Durante la pandemia, molte cure sono state ritardate, portando a un accumulo di necessità non soddisfatte che ora si traducono in una domanda ancora più alta di assistenza sanitaria. L’invecchiamento demografico non solo aumenta la domanda di assistenza, ma comporta anche sfide economiche significative. La diminuzione della natalità ha ridotto la forza lavoro attiva, creando un squilibrio tra la popolazione anziana e quella in età lavorativa. Attualmente, l’indice di dipendenza degli anziani in Italia è il più alto dell’Unione Europea, con previsioni che indicano un ulteriore aumento nei prossimi decenni. Questo squilibrio riduce le entrate fiscali disponibili per finanziare il SSN e aumenta il fabbisogno di assistenza sociosanitaria. Considerate queste premesse, le progressive necessità di risposte ai problemi ancora inevasi di Sanità Pubblica porterà ad un aumento progressivo di richieste terapeutiche e correlatamente ad una sempre maggiore espansione della spesa farmaceutica.Le innovazioni tecnologiche stanno contribuento ad un aumento progressivo di risposte sempre più attente ai bisogni inevasi della popolazione, non solo da un punto di vista terapeutiche, ma anche in termini diagnostici. In altri termini, le campagne di prevenzione sempre più diffuse ed il livello di innovazione tecnologica nella diagnostica porta ad una più consistente presa in carico di pazienti con patologia cronica che nell’insieme va ulteriormente ad appesantire la gestione economica del bisogno di salute della popolazione italiana.

Dopo il COVID-19, la spesa farmaceutica in Italia ha subito un incremento significativo. La pandemia ha portato a un aumento della domanda di farmaci, sia per il trattamento del virus stesso che per la gestione delle complicanze a lungo termine nei pazienti guariti. Inoltre, la necessità di vaccinazioni di massa ha contribuito a far lievitare i costi. Secondo un rapporto dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), la spesa farmaceutica (sia pubblica che privata) nel 2021 ha superato i 30 miliardi di euro, con un incremento del 3,5% rispetto all’anno precedente, secondo i dati del report OSMED 2021 dell’Agenzia Italiana del Farmaco.

Questo aumento della spesa farmaceutica rappresenta una chiara sfida per la sostenibilità del SSN. È quindi fondamentale trovare soluzioni e processi che permettano di contenere i costi senza mai compromettere la qualità delle cure. Il fabbisogno sanitario nazionale, al cui interno è prevista una quota parte che le Regioni possono utilizzare per l’acquisto di terapie farmacologiche, è tendenzialmente sempre in aumento con il distinguo dei tre periodi: 2010-2019 con una lenta crescita e tagli, 2020-2022 con una crescita sostanziale (+5,35%) e 2023-2024 con un’ulteriore crescita (+2,8%) benché percentualmente (ma comprensibilmente) meno del periodo COVID, come ben illustra il report GIMBE 2024.

Situazione questa che ha portato le Regioni italiane a sforare il budget e i tetti di spesa a loro assegnati per ben 3 miliardi e 287 milioni nel solo 2023, con conseguenze per le stesse Regioni e le aziende farmaceutiche che hanno ripianato uno sforamento che non vede un arresto.

In questo scenario si inserisce l’approccio Value-based Healthcare anche in termini di sostenibilità della spesa sanitaria.

Il concetto di Value-based Healthcare (VBHC) orientato alla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in Italia rappresenta un approccio innovativo per affrontare le sfide attuali e future del sistema sanitario, specialmente in un contesto di invecchiamento della popolazione e risorse finanziarie limitate. Il VBHC si concentra sul valore delle cure fornite ai pazienti piuttosto che sui volumi di servizi erogati. Questo implica una maggiore attenzione ai risultati clinici e alla qualità della vita dei pazienti, promuovendo l’efficienza e riducendo gli sprechi. L’obiettivo è garantire che le risorse siano utilizzate in modo ottimale per massimizzare i benefici per la salute della popolazione. Per affrontare queste sfide, è fondamentale adottare un approccio sistemico che integri le politiche sanitarie con quelle sociali ed economiche. Questo include una integrazione dei servizi sanitari, una innovazione tecnologica applicata a migliorare l’efficienza operativa e la qualità delle cure ed una sempre più estesa e proficua formazione del personale sanitario che consenta a quest’ultimo di applicare efficientemente tutto quanto al momento a disposizione.

Nell’ambito poi della spesa farmaceutica, un aspetto rilevante di applicazione della Value-based Healthcare sta nel poter considerare la sostenibilità dei costi farmaceutici, ottimizzando l’utilizzo di farmaci riconosciuti a livello regolatorio per stessa efficacia e sicurezza ma con costi nettamente inferiori come i farmaci a brevetto scaduto. Un recento rapporto di Nomisma Salute, ha confermato che dal 2012 i farmaci a brevetto scaduto hanno consentito un risparmio netto di circa 6.2 miliardi di euro, favorendo una riallocazione delle risorse e contribuendo sensibilmente alla sostenibilità del Servizio Sanitario Regionale, garantendo nel contempo addirittura il rafforzamento dei determinanti di salute della popolazione italiana.

La perdita di brevetto dei farmaci da ora in avanti sarà soprattutto legato a farmaci di sintesi biologica ed in questo ambito, i farmaci biosimilari potranno sicuramente rappresentare una valida soluzione di efficientamento della spesa. In particolare per due motivi stringenti, da un lato considerando l’alto costo nominale della terapia biologica e dall’altro lato considerando una sempre maggiore richiesta di queste terapie ad alto costo per le crescenti necessità emergenti nella popolazione.

Dal 2006 (anno di introduzione del primo biosimilare al mondo), garantiscono un maggiore accesso al trattamento a un numero più ampio di pazienti ed un risparmio significativo per i sistemi sanitari.

Un segmento del settore farmaceutico sicuramente strategico che vede ben 13 molecole lanciate ogni anno dal 2014 al 2018 e fino al 2025 ci saranno circa 27 nuovi lanci annui al mondo. Volume di spesa che ormai rappresenta circa il 40% della spesa farmaceutica europea. All’interno della UE è proprio l’Italia che raggiunge una delle penetrazioni più alte, anche prima di paesi quali Germania e Francia, in aree terapeutiche cruciali quali oncologia, immunologia ed ematologia.

Tuttavia, nonostante i tassi di crescita, secondo dati IQVIA, il settore sconta un serio rallentamento in termini di crescita rispetto agli anni precedenti (un +36% dal 2018 al 2021 contro un +9% dal 2021 al 2023). Situazione che ha prodotto un’aspettativa di un 75% di farmaci biologici che scadranno entro il 2032 senza biosimilari al momento in sviluppo.

L’aumento dell’utilizzo dei farmaci biosimilari in Italia presenta opportunità significative, ma è anche accompagnata da preoccupazioni riguardo alla sostenibilità e alla penetrazione di queste soluzioni nel mercato. Ecco alcuni dettagli chiave:

  • Nel 2022, i biosimilari hanno generato risparmi stimati di quasi 1,6 miliardi di euro in Italia. Questo dato sottolinea l’importanza economica dei biosimilari nel sistema sanitario nazionale, contribuendo a liberare risorse per altre necessità (rapporto IQVIA 2023)
  • L’introduzione di biosimilari per patologie autoimmuni ha portato a un incremento del 165% nel numero di pazienti trattati, con una riduzione della spesa del 58%. Questo evidenzia come l’accesso ai trattamenti biologici possa essere ampliato grazie ai biosimilari.
  • Nel 2023, i biosimilari hanno registrato una crescita dei consumi del 4,7% rispetto all’anno precedente, assorbendo il 49,2% dei consumi nazionali. Tuttavia, il mercato è caratterizzato da disparità regionali significative nella penetrazione dei biosimilari. Le regioni come Marche e Piemonte mostrano tassi di consumo di biosimilari superiori al 70%, mentre altre come Lombardia e Calabria rimangono meno virtuose, con percentuali inferiori al 40%

L’uso crescente dei farmaci biosimilari è cruciale per garantire l’accesso a terapie biologiche a costi contenuti. Diverse strategie possono essere implementate per promuovere la loro adozione e ottimizzare il loro utilizzo nel sistema sanitario.

Educazione e Formazione degli Operatori Sanitari

  • Corsi di Formazione: È fondamentale sviluppare programmi di formazione per medici e farmacisti riguardo alla biosimilarità, evidenziando la comparabilità in termini di efficacia e sicurezza rispetto ai farmaci originatori
  • Materiale Informativo: Creare risorse informative che chiariscano le differenze tra farmaci biosimilari e originatori, contribuendo a ridurre lo scetticismo tra i prescrittori

Politiche Sanitarie Regionali

  • Linee Guida Chiare: Implementare linee guida regionali che promuovano l’uso appropriato di biosimilari come prima scelta per pazienti naïve, come già avvenuto in diverse regioni italiane.
  • Monitoraggio dell’Utilizzo: Stabilire sistemi di monitoraggio per analizzare l’uso dei biosimilari e identificare eventuali barriere all’adozione, come la resistenza da parte dei medici o la mancanza di informazioni sui benefici clinici.

Incentivi Economici

  • Ripensare a sistemi di rimborsabilità innovative: Le politiche di rimborso dovrebbero incentivare l’uso di biosimilari, garantendo che siano inclusi nelle liste di rimborsabilità senza restrizioni eccessive.
  • Concorrenza sul Mercato: Favorire la concorrenza tra diversi biosimilari può ridurre i costi e migliorare l’accesso alle terapie biologiche.

È chiaro come i biosimilari stimolino la concorrenza, aumentino l’accesso alle cure e rendano i sistemi sanitari più sostenibili. Ma questo sistema necessita di una governance ad hoc che preveda politiche di utilizzo dei biosimilari tra “pagatori”, clinici e pazienti — protocolli e ambiti di utilizzo

Inoltre, i milioni di euro liberati, se correttamente individuati e pianificati, possono essere lo strumento principale per garantire anche l’accesso alle prossime innovazioni oltre che maggiori trattamenti ai pazienti. Intervenire sulle norme nazionali e regionali per garantire dei prezzi che siano sempre più accessibili e sostenibili per l’industria per continuare la ricerca e lo sviluppo, anche dei biosimilari.

Paolo Fedeli – Corporate Affairs Head, Sandoz
Riccardo Scarfato – Patient and Institutional Access Manager, Sandoz

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