Centrale o decentrata, quale gestione per un sistema sanitario impegnato nelle sfide contemporanee

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21 Gennaio 2025

di Andrea Vannucci

Docente di Programmazione, Organizzazione e Gestione delle aziende sanitarie DSIM — Università di Siena

Gli esperti della sanità, le pubblicazioni di settore e da ultimo anche i media generalisti segnalano gli effetti dell’autonomia regionale sul processo di deterioramento del Sistema Sanitario Nazionale: frammentazione, problemi di massa critica e di economie di scala, difficoltà nello sviluppare le competenze e gli strumenti che servono per stare al passo con l’innovazione.

Anche se tanti riscontri e tanti dati sembrano dare ragione a chi pensa a scelte neocentriste, siamo davvero sicuri che questa sia la scelta più saggia?

Alberto F. De Toni ed Eugenio Bastianon nel libro “Isomorfismo del Potere” utilizzano un approccio sistemico, inserito nel più ampio quadro delle scienze della complessità, per analizzare come diversi sistemi sociali—quali sapere, politica, economia e organizzazioni—mostrino similitudini nel fenomeno del potere, analogamente a quanto avviene in cristallografia con l’isomorfismo

Nello specifico, il libro esplora quattro processi fondamentali del potere:

  1. Conquista del potere
  2. Gestione del potere accentrato
  3. Gestione del potere decentrato
  4. Gestione del potere auto-organizzato

Per ciascuno di questi processi, vengono individuati isomorfismi trasversali ai quattro sistemi sociali analizzati.

Applicando queste considerazioni al dibattito sulla gestione del sistema sanitario in Italia—se centralizzata a livello statale o decentrata a livello regionale—possiamo fare due considerazioni.

La prima, un sistema sanitario centralizzato potrebbe beneficiare di una maggiore uniformità nelle politiche sanitarie e nell’erogazione dei servizi, facilitando una risposta più coordinata a qualunque tipo di emergenze o criticità. Tuttavia, un’eccessiva centralizzazione potrebbe ridurre la flessibilità e l’adattabilità alle specifiche esigenze locali.

La seconda, un sistema sanitario decentrato permette alle regioni di adattare le politiche sanitarie alle peculiarità locali, promuovendo innovazione e sperimentazione. D’altro canto, questa frammentazione può portare, e purtroppo gli esempi non mancano, a disparità nell’accesso e nella qualità dei servizi tra le diverse regioni.

Secondo la “legge del potere necessario” proposta da De Toni e Bastianon, per affrontare sistemi a complessità crescente è necessario disporre di sistemi a potere crescente. Questo implica che la scelta tra centralizzazione e decentralizzazione dovrebbe considerare la complessità del contesto sanitario e la capacità delle strutture di potere di gestirla efficacemente.

In sintesi, l’analisi degli isomorfismi del potere suggerisce che non esiste una soluzione univoca; piuttosto, è fondamentale bilanciare centralizzazione e decentralizzazione per rispondere adeguatamente alle sfide sanitarie, tenendo conto delle specificità locali e della necessità di una governance efficace.

Seguendo ancora quest’impostazione, quale sarà la modalità di gestione della sanità, prevalentemente accentrata o decentrata, per garantire l’accesso e l’uso delle nuove tecnologie digitali?

Eric Topol, medico e ricercatore, ha coniato l’espressione “distruzione creativa della medicina” per descrivere come la rivoluzione digitale, ed in particolare la IA, stia trasformando l’assistenza sanitaria. 

Nel contempo Chris Olah, co-fondatore di Anthropic, l’azienda dietro i modelli di intelligenza artificiale di Claude, riconosciuto da Time Magazine come una delle 100 persone più influenti nel campo dell’intelligenza artificiale nel 2024, afferma parlando degli algoritmi: “Non li costruiamo; li coltiviamo”. “Sono quasi come entità biologiche”. “Non li abbiamo scritti o creati”. Questo solleva una grande domanda: cosa sta realmente accadendo all’interno di questi sistemi? E comunque chi realmente ne sono i proprietari e che controllo possiamo avere sul loro uso.

Ormai abbiamo capito che ci stiamo confrontando con soggetti globali, oligo o monopolisti, che hanno insieme la forza della finanza e quella della tecnologia, che si muovono su grandezze di scala quasi inimmaginabili e con una velocità che è al di fuori della nostra attuale portata. 

L’interrogativo che ci assilla è se riusciremo ad indirizzare queste forze verso scopi di utilità sociale e non il contrario. 

Per muoversi in questo nuovo scenario non basterà neanche la dimensione accentrata di servizio sanitario “nazionale” ma servirà un contesto più ampio: un ecosistema della salute che per essere indipendente da condizionamenti commerciali robusti deve avere dimensioni e disponibilità finanziarie altrettanto robuste, cioè sovranazionali e un sistema regolatorio, piani d’investimento e d’intervento che mantengano vigorosamente il focus sugli interessi ed il bene dei cittadini. Non dobbiamo pensare che una dimensione continentale europea sia troppo vasta per condividere gli stessi bisogni e le stesse esigenze. Le differenze sono marginali e si risolvono con una politica di gestione nuova e coraggiosa che si costruisce progettando i processi che generano salute e la loro implementazione con la partecipazione di una miriade di comunità civiche.

Perché funzioni va incentivata una “rivoluzione cognitiva” di massa. Se questa sarà la futura discontinuità nelle società democratiche non prevarrà l’ipotesi di un oligopolio predatorio che si fa Stato. Come sempre nella storia quanto più e quanti più cittadini avranno i mezzi culturali adatti tanto più saremo al sicuro dal pericolo di nuovi despoti che ci spingeranno a barattare sistemi che si fondano sull’universalismo con approcci basati sugli individui. Alcuni, tra i cittadini, saranno più forti e si faranno valere ma altri non avranno le stesse possibilità e alla fine perderanno tutti.  

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