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La crisi dei trasporti causata oggi dal maltempo in Olanda e Germania ha messo in luce un grave problema nell’aeroporto di Amsterdam: i passeggeri in transito si sono trovati completamente abbandonati da un sistema digitale pervasivo e human less che non si è preso cura dei passeggeri ma solo delle funzioni. I passeggeri non sapevano a chi rivolgersi, a chi chiedere.

Questa esperienza di disservizio ci spinge a riflettere sulla digitalizzazione dei servizi pubblici, in particolare sulla sua applicazione in ambito sanitario. Le innovazioni digitali hanno senso solo se pensate per gli utenti: nel caso della sanità, dovrebbero aiutare i pazienti, migliorare la loro esperienza e garantire un sostegno nell’accesso ai servizi pari o superiore a quello che può offrire un aiuto in carne e ossa.

L’esperienza di Amsterdam rivela invece i limiti di una digitalizzazione pensata principalmente per efficientare i servizi, eliminando l’intermediazione umana.

In un momento di necessità, i passeggeri si sono trovati soli davanti a schermi e dispositivi automatici, senza trovare nessuno a cui chiedere aiuto, nessuno che sia venuto in loro soccorso. Questo approccio alla digitalizzazione, con un occhio solo sull’efficienza dei processi, non può e non deve essere replicato in ambiti delicati come quello della sanità.

Se vogliamo progettare sistemi con il giusto impiego di intervento umano che però non può essere eliminato del tutto, l’intelligenza artificiale può offrire una soluzione attraverso assistenti digitali evoluti.

Questi assistenti, simili a quanto teorizzato nel modello Society 5.0, possono affiancare le persone mostrando empatia e capacità di personalizzazione, adattandosi alle specifiche esigenze di pazienti e clienti. Non si tratta solo di fornire informazioni, ma di creare una vera e propria guida che accompagni in modo naturale attraverso tutti i servizi, comprendendo e anticipando i bisogni emotivi e pratici delle persone. La tecnologia, in questo modo, si mette davvero al servizio dell’umano, adattandosi alle persone e non viceversa.

L’intelligenza artificiale può trasformare radicalmente l’esperienza del paziente, non limitandosi a automatizzare processi esistenti, ma creando nuovi modi di interazione. Un assistente AI personalizzato potrebbe anticipare le necessità del paziente, prenotare visite, ricordare terapie, rispondere a domande, coordinare diversi specialisti, tutto mantenendo una comunicazione naturale e comprensibile.

La sanità italiana, nel suo percorso di trasformazione digitale, ha l’opportunità di saltare la fase della semplice automazione per abbracciare direttamente un approccio centrato sull’utente. Non si tratta di digitalizzare moduli e procedure, ma di ripensare completamente l’esperienza del paziente, partendo dalle sue esigenze e non dai vincoli organizzativi.

Questo nuovo paradigma richiede un cambio di prospettiva: dalla digitalizzazione dei processi alla digitalizzazione dell’esperienza. L’assistente digitale personale diventa l’interfaccia umana della tecnologia, capace di adattarsi al livello di competenza digitale di ogni utente, alle sue preferenze di comunicazione, persino al suo stato emotivo.

Il valore della tecnologia non sta nella sua capacità di sostituire l’intervento umano, ma nel suo potenziale di potenziare e personalizzare l’assistenza. Gli operatori sanitari, liberati da compiti ripetitivi grazie all’automazione intelligente, possono dedicare più tempo alla relazione con il paziente, mentre gli assistenti digitali garantiscono continuità di supporto 24 ore su 24.

La vera sfida della sanità digitale non è tecnologica ma culturale: passare da un approccio centrato sui processi a uno centrato sulla persona. Ogni sviluppo tecnologico deve essere valutato non in base all’efficienza che genera, ma al miglioramento che porta nell’esperienza del paziente. Solo così la digitalizzazione potrà mantenere la sua promessa di una sanità più accessibile, più efficace e più umana.

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