
Città del Vaticano, 21 aprile 2025
Il mondo cattolico e l’intera comunità internazionale piangono oggi la scomparsa di Papa Francesco, venuto a mancare questa mattina alle 7:35 nella sua residenza di Santa Marta in Vaticano. Jorge Mario Bergoglio, primo pontefice sudamericano della storia, lascia un’eredità di profonda umanità e un messaggio di servizio verso gli ultimi che ha caratterizzato i dodici anni del suo pontificato.
Una vita dedicata al servizio
“Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio. Bisogna custodire la gente, aver cura di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore.” Queste parole, pronunciate all’inizio del suo pontificato, hanno rappresentato non solo un programma pastorale ma l’essenza stessa della missione che Papa Francesco ha portato avanti con coerenza e determinazione dal 13 marzo 2013, giorno della sua elezione.
Il pontefice argentino ha trasformato queste parole in gesti concreti, ridefinendo il ruolo papale e avvicinando la Chiesa alle persone comuni, specialmente quelle emarginate e sofferenti. La sua visione di una “Chiesa in uscita“, non ripiegata su se stessa ma aperta alle periferie geografiche ed esistenziali, ha segnato un cambiamento significativo nell’approccio della Santa Sede alle sfide contemporanee.
La rivoluzione della semplicità
La rivoluzione di Papa Francesco è stata caratterizzata da una straordinaria semplicità: la scelta di risiedere a Casa Santa Marta invece che nel Palazzo Apostolico, l’utilizzo di una vecchia Fiat 500 per i suoi spostamenti, la rinuncia ai paramenti sfarzosi. Gesti simbolici che hanno comunicato un messaggio potente: la Chiesa deve essere povera e per i poveri.
Questa semplicità non era solo esteriore ma si manifestava nel suo modo diretto di comunicare, nelle sue omelie spontanee e comprensibili a tutti, nella sua capacità di toccare il cuore delle persone con parole e gesti autentici. La sua abitudine di fermarsi per abbracciare i malati, i bambini, gli anziani durante le udienze generali o le visite pastorali, dimostrava concretamente il significato del “custodire la gente con amore“.
Il pastore delle periferie
L’attenzione alle “periferie” è stata un tema centrale del suo pontificato. Periferie non solo geografiche ma esistenziali: i carcerati, i rifugiati, i senzatetto, le vittime della tratta, i malati mentali. Le sue visite a Lampedusa, Lesbo, agli ospedali pediatrici, ai campi profughi e alle carceri hanno portato lo sguardo del mondo sui più dimenticati.
Il suo approccio alla questione dei migranti, in particolare, ha rappresentato una costante sollecitazione alle coscienze dell’Occidente. “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare” è stato il mantra con cui ha esortato governi e società civile a una risposta umana e solidale davanti alla tragedia delle migrazioni forzate.
La misericordia come cifra del pontificato
Se c’è una parola che ha definito il pontificato di Francesco, questa è “misericordia“. Il Giubileo straordinario della Misericordia nel 2016 ha rappresentato il cuore del suo messaggio: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono.
Questa visione si è tradotta in aperture pastorali significative verso i divorziati risposati, in un approccio compassionevole verso le persone LGBT+, e nel riconoscimento degli errori della Chiesa, con le storiche richieste di perdono per gli abusi compiuti da membri del clero.
L’ecologia integrale: custodire il creato
La cura per la “casa comune” è stata un’altra dimensione fondamentale del suo servizio. Con l’enciclica “Laudato Si‘” (2015), Francesco ha offerto una visione di “ecologia integrale” che collega la giustizia ambientale con la giustizia sociale. “Non possiamo pretendere di curare la nostra relazione con la natura e l’ambiente senza curare tutte le relazioni umane“, scriveva, mostrando come la cura del pianeta fosse inseparabile dalla cura delle persone più vulnerabili.
Le riforme e le resistenze
Il suo programma di riforme della Curia Romana, mirato a una maggiore trasparenza e a un decentramento del potere, ha incontrato resistenze ma ha prodotto cambiamenti significativi. La lotta contro la corruzione finanziaria in Vaticano, la riforma dello IOR, la maggiore presenza di laici e donne in ruoli decisionali e il contrasto agli abusi nella Chiesa hanno rappresentato passi concreti verso una Chiesa più credibile e fedele al messaggio evangelico.
Un’eredità di umanità
Ciò che resterà impresso nella memoria collettiva è soprattutto l’umanità di Francesco, la sua capacità di ridere e piangere con gli altri, la sua autenticità. In un’epoca di leader distanti e formali, ha mostrato che l’autorità più autentica nasce dalla vicinanza, dall’empatia, dal servizio umile.
“Il pastore deve avere l’odore delle pecore“, amava ripetere. E lui ha mantenuto questo contatto diretto con la realtà, rifiutando di chiudersi in una bolla di privilegi e isolamento.
Le ultime parole
Secondo fonti vaticane, le ultime parole del Pontefice sarebbero state rivolte ai presenti al suo capezzale, esortandoli a “continuare a servire con gioia”. Un messaggio coerente con tutta la sua vita e il suo magistero.
Mentre il mondo si prepara a dare l’ultimo saluto a Papa Francesco, risuonano le sue parole sul vero significato del potere come servizio. Un’eredità spirituale e umana che va oltre le appartenenze religiose e che interpella ogni persona sulla propria responsabilità verso gli altri, specialmente i più fragili e dimenticati.
In un mondo segnato da divisioni, conflitti e indifferenza, la testimonianza di questo uomo venuto “dalla fine del mondo” rimarrà come un faro di umanità e un invito costante a non dimenticare che “il vero potere è il servizio“.